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Perché non restino solo parole


Nelle ultime due settimane la triste vicenda di Giulia Cecchettin ha tenuto banco in tutte le trasmissioni televisive e ha giustamente sollevato una mobilitazione che da Nord a Sud ha visto milioni di persone scendere in piazza per dire basta alla violenza, ed in particolare alla violenza di genere.

Il destino ha poi voluto che queste brutte pagine di cronaca nera si scrivessero proprio a ridosso della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e ciò ha reso ancora più significativa la storia di Giulia.

Si comincia a dire, senza se e senza ma, che troppo spesso la donna (ed il suo corpo) sono ridotti ad oggetti, oggetti da possedere, da predare e quando ci si stufa o non si è più voluti, oggetti da buttare...perchè non servono più o perchè non li abbia qualcun altro.

Si comincia a dire che possedere è diverso da amare, che bisogna educare i giovani alla relazione e anche alla frustrazione che può portare la fine di una relazione.

Anche la politica sembra porre un'attenzione diversa su questi temi: si ipotizzano percorsi ad hoc per educare l'intelligenza emotiva delle nuove generazioni. Tutta la società sembra più sensibile dopo questa tragica morte, la n° 105.

E poi venerdì 24 novembre, alla vigilia di quella Giornata così importante, in cui tutto il mondo si ferma a riflettere sulla piaga della violenza di genere e della visione della donna-oggetto, Mediaset manda in onda, in prima serata, "Ciao Darwin 9" che a metà programma propina il suo consueto defilé.

Donne bellissime sfilano in biancheria intima, tra file di uomini osannanti, sudanti e sbavanti che di quelle donne ammirano le cosce, i glutei, i seni e non certo l'anima o l'intelligenza.

Mi si dirà che sono bacchettone ed eccessivo e che in fondo la stessa sorte era capitata pochi minuti prima anche agli uomini, nello stesso programma: giovani palestrati e seminudi in sfilata davanti a frotte di donne scalmanate. Vero. Infatti bisognerebbe interrogarsi in generale sull'oggettificazione della sessualità e del corpo (femminile e maschile) nel nostro tempo e nella nostra cultura.

Ma forse proprio il dramma che si stava consumando in quei giorni, e proprio ciò che si andava a celebrare l'indomani, avrebbero dovuto portare ad una riflessione più attenta gli autori, i produttori e i conduttori di quel programma, visto da milioni e milioni di persone.

Perché altrimenti il rischio è che restino tutte e solo parole, per lavarsi la coscienza, per dimostrare che stiamo facendo la cosa giusta, ma poi quando i riflettori si spegneranno sulla storia della povera Giulia (domani ci sarà l'autopsia), tutto tornerà come prima. Anche questo è il potere dei media!


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